Senza trauma - Singola | Storie di scenari e orizzonti

Senza trauma

Nella serie I May Destroy You, Michaela Coel mette in scena una straordinaria riflessione sul consenso, che si snoda tra le questioni del femminismo intersezionale e del privilegio, partendo da un dolore vissuto intimamente, sulla propria pelle.

Elvira Del Guercio

studia Italianistica a Roma Tre e si occupa di cinema e serialità televisiva. Ha collaborato con alcuni festival come giurata e selezionatrice e si interessa di femminismi e studi di genere. Scrive per Cineforum e Point Blank e suoi articoli sono apparsi su Il Tascabile, Nocturno, Cinefilia Ritrovata (Cineteca di Bologna) e sulla rivista di critica cinematografica Fata Morgana Web.

"Se vivo pensando che in ogni momento potrebbe accadermi qualcosa di male, allora vivo nella paura" dichiara Michaela Coel. "Quando le donne mi chiedono come proteggersi, dico loro che dovremmo tutte fare attenzione, ma nello stesso tempo essere libere di vivere le nostre vite il più possibile, altrimenti loro – chi perpetra gli abusi – vincono", insiste l’artista. Nella realtà, una sera del 2016, Michaela Coel si trovava nel suo ufficio di Londra a scrivere la seconda stagione di Chewing Gum quando decise di incontrare alcuni amici per un drink. La mattina dopo, Coel era di nuovo in ufficio con un enorme vuoto di memoria e nessun ricordo dell’aggressione sessuale che in seguito ha scoperto aver subito, dopo essere stata drogata. È l’inizio della serie tv scritta, diretta e interpretata da Michaela Coel stessa, ossia I May Destroy you, prodotta da HBO, andata in onda lo scorso anno e acclamata sia da pubblico che da critica.

Michaela Coel ha impiegato due anni e mezzo per elaborare il trauma subito e processarlo. Un tempo di ripensamenti e ritorni continui su ciò che aveva vissuto, chiedendosi, anzitutto, come poter universalizzare un’esperienza così intima e destabilizzante, che il più delle volte non si riesce a dissotterrare; altre volte, invece, la si manifesta, urlando a gran voce il proprio dramma, rifiutando ogni aiuto che non provenga da sé stessi. In un certo senso, Arabella, la protagonista della serie tv, si può dire esplori entrambe le alternative: in un primo momento, è restia ad ammettere la violenza subita e la rimuove; dopo un po’, ogni occasione è buona per declamarla e rivendicarne la gravità, senza, però, riuscire a esorcizzarla davvero. In questo modo, I May Destroy You restituisce la complessità in seguito all’elaborazione di un trauma di questo tipo, per cui la protagonista quasi mai arriva a una soluzione, allo “scioglimento”: spesso, infatti, sembra che Arabella stessa non sappia in che modo affrontarlo, questo trauma, seguendo un percorso di autocoscienza tortuoso e accidentato, e per questo estremamente reale.

Michaela Coel e Weruche Opia in I May Destroy You.

Michaela Coel e Weruche Opia in I May Destroy You. | Natalie Seery/BBC/Various Artists Ltd e FALKNA

In molte interviste, l'autrice ha dichiarato di non volersi sentire né tantomeno essere definita una “vittima” ed è ciò che intende portare alla luce con la brillante operazione di autofiction messa in atto dalla serie tv. Dal momento che la pratica narrativa implica un rifacimento, non è facile trovare una perfetta corrispondenza tra ciò che è e ciò che, soggettivamente, viene riplasmato da chi racconta una storia, andando a sovraimprimersi sulla pagina (o sull’immagine) una doppia verità, al pari di un fotogramma dove vengono sovrapposte due riprese diverse. L'autrice e il personaggio s’incontrano, come se, insieme, volessero capire come liberarsi del passato, per farne strumento di rivalsa. Lo vediamo benissimo nell’ultima puntata della serie: al momento dell’incontro tra Arabella e l’aggressore, ci vengono presentati più finali, come se Coel avesse sentito il bisogno di ritornarci più volte, per capire come restituire una narrazione densa di significati, per l'appunto politica e empowering. Come accade nel caso della protagonista di I Love Dick, che tramite un simile atto creativo (con le lettere indirizzate a Dick, oggetto della sua ossessione) giunge a delle verità su sé stessa, l’essenza della stessa della fiction, della rimodulazione e della molteplicità delle voci, viene incontro alla protagonista per arrivare a una conclusione alternativa.

I May Destroy You guarda al panorama senza assoluti né imperativi in cui vivono Arabella e i suoi amici, nel mondo dai contorni morbidi e porosi in cui navigano poco più che trentenni. Ecco una delle tante questioni che la serie tematizza. Arabella e i suoi amici fanno parte di un mondo fluido e queer - queer, nel senso etimologico del termine: dal latino deriva da “torquere”, significa trasversale, obliquo, diagonale” - in cui ogni cosa è destinata a diventare altro da sé, a evolversi, producendo un effetto di variazione e distanza costanti dalla norma. All'inizio, tutto è (o sembra) lecito, a partire da relazioni amicali o sporadiche, frequentazioni nate online, a serate alcoliche tra conoscenti. Ma è proprio qui che si insinua la riflessione portata avanti dall’autrice, che va a scandagliare, millimetricamente, ogni certezza e idea date per scontate, sia da lei stessa sia da parte di chi la circonda.

 


Come giustamente si domanda Lucy Mangan sul TheGuardian:Quando tutto è malleabile, dove si verifica la violazione?”. È, infatti, attraverso un intelligente e mai scontato susseguirsi di situazioni paradigmatiche messe in scena da Coel che questa zona grigia e indistinta viene sapientemente esplorata. Per fare giusto qualche esempio, durante un rapporto sessuale il partner di Arabella si toglie il preservativo senza dirglielo: hai subito una violenza (la seconda) le viene detto da un’agente di polizia; allora Arabella si unisce a un gruppo di sostegno “per evitare di essere stuprata”, testuali parole. Un suo amico, Kwame, pratica del sesso consensuale con un uomo conosciuto su Grindr ma poco dopo viene preso con la forza in una maniera precedentemente non concordata. Kwame incappa in più di una difficoltà: sa, nel suo intimo, di aver subito un torto, ma non sa bene come definirlo a sé stesso e agli altri; decide di sporgere denuncia ma, durante l’interrogatorio, alla caserma di polizia, nessuno degli agenti sa come venirgli incontro per la “stranezza” della situazione che il ragazzo aveva presentato.

Dunque, quelli del consenso e del privilegio sono i temi fondamentali che I May Destroy You affronta, che si intersecano di continuo. Michaela Coel coniuga la sua vicenda con quella di Kwame, andando, poi, indietro nel tempo per parlarci del privilegio bianco, partendo dall’esperienza di una loro ex compagna di scuola, Theo: Theo finge di essere stata aggredita da un compagno di classe nero, dopo aver scoperto che questo ragazzo la stava filmando durante il rapporto. Per vendicarsi lo denuncia al preside. Tuttavia, la giovane Arabella e Terry affermano pubblicamente come le loro lacrime sarebbero state percepite in modo diverso dal loro insegnante - qualcosa che è fin troppo familiare alle donne nere. Terry continua dicendo che "le lacrime delle ragazze bianche sono di grande valore", in quanto si presume a priori l'innocenza, intraprendendo un'azione immediata. Questo è solo un aneddoto, ma è un ellissi che l’autrice si è concessa tanto per chiarificare allo spettatore l’entrata in scena del personaggio di Theo, quanto per renderci più consapevoli, a livello di immagini - dal momento che privilegio e consenso sono questioni che di rado vengono affrontate dai media - della relatività delle varie forme di privilegio, del fatto che dipendono, sempre, da un’intersezione di classe sociale, razza, genere.

Michaela Coel in I May Destroy You.

Michaela Coel in I May Destroy You. | WarnerMedia

Arrivati alla fine delle sue densissime dieci puntate, sembra che Coel abbia scritto e diretto I May Destroy You non tanto per placare una sete di vendetta né per “punire” il suo aggressore, indirizzando, quindi, tutte le sue energie verso l’altro. Per converso, prendendosi i suoi tempi per squadernare e analizzare tutto il complesso di temi messi in campo, dalla questione del consenso, alla base della riflessione di Coel, che va a intersecarsi con le problematiche del privilegio bianco, la serie è piuttosto il tentativo di allontanarsi da una narrazione che avrebbe voluto la donna indivisibile dal trauma e incapace di liberarsene. Come qualcosa, scrive Elisa Cuter in Ripartire dal desiderio, riflettendo sugli effetti del #metoo, “che continua a perseguitare la vittima: qualcosa che fa parte della sua identità, che addirittura la definisce.” Michael Coel rifiuta la logica imperante di determinate politiche identitarie e di genere, alcune delle quali divenute tuttora escludenti e dogmatiche, riflettendo su questo: se una donna subisce una violenza, è giusto che l’accaduto venga percepito, dall’opinione pubblica, costitutivo della fisionomia e psiche della donna a tal punto da renderle difficile, se non impossibile, riprendere la sua vita? In questa dinamica, la donna che subisce un trauma sembra si differenzi in quanto portatrice di un fardello ineludibile; le conseguenze di questo peso sono spesso ritenute incancellabili, quasi un "prolungamento" identitario della persona. 

È difficile arrivare a un'opinione salda e definita in merito a questo problema. Sicuramente, il pericolo di una visione di questo tipo, da cui sarebbe bello riuscire ad affrancarsi, è il “sillogismo perverso” a cui potrebbe portare, riprendendo ancora una volta le parole di Cuter: “sono stata una vittima (di un ricatto, una molestia, un abuso) ergo sum femmina. Viceversa, se sono di sesso femminile avrò̀ sicuramente un episodio di discriminazione di genere o di molestia sessuale da raccontare: basterà andare a cercare nella memoria.” Quindi, muovendo dall’indiscutibile drammaticità di un’esperienza come la sua, attraverso la serie, Coel prova gradualmente a distaccarsene, allargando poi l’obiettivo: I May Destroy You non solo ha esplorato le caratteristiche di quella che oggi conosciamo come “cultura dello stupro”, ma ha anche cercato di affrontare il suo vastissimo spettro, e quanto, soprattutto, siamo ignari dei suoi perimetri.

 

Hai letto:  Senza trauma
Questo articolo è parte della serie:  Visioni
USA - 2021
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Elvira Del Guercio

studia Italianistica a Roma Tre e si occupa di cinema e serialità televisiva. Ha collaborato con alcuni festival come giurata e selezionatrice e si interessa di femminismi e studi di genere. Scrive per Cineforum e Point Blank e suoi articoli sono apparsi su Il Tascabile, Nocturno, Cinefilia Ritrovata (Cineteca di Bologna) e sulla rivista di critica cinematografica Fata Morgana Web.

Pubblicato:
19-04-2021
Ultima modifica:
04-05-2021
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